La staticità immanente nella serie fotografica “Hockey Players” di Elena Siniscalchi
“Conoscere significa porre relazioni segniche, segnalare qualcosa mediante qualcos’altro, e così aprire uno spazio di differenza e di distanza entro il quale, e non altrove, gioca e si realizza il sapere, in un processo che per sua natura è sempre caratterizzato da nuove aperture e mai da una chiusura definitiva”. (Carlo Sini, “Il linguaggio dei segni”, 2012) Se è vero che a ogni cosa corrisponde il suo opposto, al concetto di flusso possiamo opporre l’idea di staticità immanente dove l’oggetto rappresentato da Elena Siniscalchi (Kiel, 1969), i giocatori di Hockey, diventano “segni”, ideogrammi in grado di evocare nuovi significati. Il progetto “Hockey Players” nasce come una visione nel 2015 e si inserisce nel percorso più ampio di ricerca dell’artista-fotografa da sempre interessata a cogliere nel reale i linguaggi simbolici e che stanno dietro alle forme in movimento. Gli studi universitari di letteratura e la passione per il teatro hanno nutrito il suo percorso fotografico che ha intrapreso con Giuliana Traverso appassionandosi soprattutto alla fotografia in bianco e nero e al ritratto. La sua indagine fotografica si focalizza sullo studio della relazione tra “identificazione” e “distinzione dell’altro”. Il centro d’interesse è la ricerca dei segni che emergono nella mimica dei volti, nell’espressività dei gesti e che appartengono alla “comunicazione invisibile”. Tema presente in tutti i progetti che l’artista porta avanti in parallelo, come sfaccettature di una stessa medaglia. Uno dei suoi primi progetti “Nonverbal Photography”, esposto allo Spazio Oberdan nell’ autunno 2011 in una mostra dal titolo “Voci dal silenzio”, è proprio dedicato all’osservazione della comunicazione non verbale dei sordi e della loro lingua dei segni. Nel progetto in fieri “Mothering and mirroring” Elena Siniscalchi indaga sulla comunicazione infantile tra madre e figlio che dà luogo a simbiosi e reciprocità. “Le espressioni del loro volto – scrive la fotografa – sono spesso allineate e mostrano un umore simile. Il volto materno è una sfera complessa di segni che il bambino impara presto a interpretare”. Così nelle fotografie di “Autismo InsideOut” scopriamo le espressioni e i tanti piccoli gesti quasi invisibili che compongono il linguaggio non-verbale degli autistici. Da queste premesse arriviamo alla serie “Hockey Players” che comprende una selezione di circa venti scatti, stampati in bianco e nero in tre formati a tiratura limitata di cinque per ciascun soggetto. Trattasi di immagini fotografiche a luce naturale che rappresentano giocatori professionisti di Hockey su ghiaccio ripresi singolarmente o in due, in momenti di gioco all’aperto. Le figure in nero, che emergono dal bianco abbagliante del ghiaccio seguite dalle proprie ombre, sembrano immobili nella sintesi del loro movimento. La fotografa stessa ben definisce il suo lavoro come “un silenzioso discorso tra i giocatori i quali si sincronizzano e si contrappongono tra loro con eleganza e leggerezza in uno spazio senza tempo. Nel ghiaccio bianco le loro silhouette sono armoniosi ideogrammi che appartengono all’immaginario collettivo. Le figure, contemporanee e allo stesso tempo antiche, sono cristallizzate in un attimo del gioco che diviene sublimazione della battaglia trasformandosi in un’armoniosa, e allo stesso tempo ieratica, danza”. In questi lavori è evidente l’influenza esercitatata dai lavori degli anni ’60 del grande fotografo Mario Giacomelli sebbene Elena Siniscalchi, non sia tanto interessata alla resa del movimento bensì al cogliere l’attimo perfetto in grado di fermare le forme in un’immanenza mai definita e conclusa. La scelta del bianco e nero, inoltre, sottolinea la tendenza a una ricerca di stilizzazione del reale con un imprinting grafico che ci ricorda l’immediatezza delle incisioni o della calligrafia cinese da lei studiata e coltivata. In sottofondo la lezione del filosofo Carlo Sini, in cui la fotografa ha trovato il fondamento teorico alle sue intuizioni, secondo cui “Pretendere, immaginare o sognare che un segno coincida infine con la cosa significata equivale alla dissoluzione di entrambi: la cosa e il suo segno” (da C. Sini, Il linguaggio dei segni, Jaca Book, Milano, 2012, p. 130). Allo stesso modo i giocatori di Hockey non rappresentano solo se stessi ma quello che possono evocare. Si crea una crepa tra significante e significato, ma è proprio da questa crepa che emerge il significato di “altro da sé” per poter finalmente uscire dal binomio rappresentazione/rappresentato e inoltrarsi nella metamorfosi dei segni. Elisabetta Mero Lartquotidian (dicembre 2022)